Inter leggenda: 4-3 al Barcellona e finale di Champions

Pubblicato il 7 maggio 2025 alle ore 14:35

di PIERANTONIO LUTRELLI- Un gol al 93’, un altro al 99’. Lacrime, paura, gloria. L’Inter batte il Barcellona 4-3 ai supplementari e conquista una storica finale di Champions League, al termine di una doppia sfida spettacolare e folle: 7-6 il risultato complessivo. Due partite che sembrano uscite da un film, un’epica tutta nerazzurra che ricorda il celebre 4-3 dell’Italia sulla Germania nel 1970. Anche allora una semifinale. Anche allora una battaglia. Anche allora un finale da leggenda. La serata inizia come nei sogni. Al 21’, Lautaro Martínez sblocca il match, poi Çalhanoğlu firma il 2-0 al 45’+1 su rigore. Il Meazza esplode. Ma nella ripresa, il Barcellona si trasforma e in sei minuti ribalta tutto: prima Eric García al 54’, poi Dani Olmo al 60’. Quando al minuto 87 Raphael infila il gol del 3-2, il sogno sembra svanire. E il palo colpito dai blaugrana a dieci dalla fine è un presagio che gela il sangue. Poi, la scintilla. Francesco Acerbi trova il gol del pareggio al 90’+3: una zampata disperata, rabbiosa, l’ultima azione utile prima della fine. Un gol che vale oro, che riporta l’Inter in corsa e trascina la partita ai supplementari. Ed è lì, in quel tempo sospeso tra fatica e gloria, che si compie il destino. Davide Frattesi, al minuto 99, trova la rete del 4-3. È il gol della liberazione, il sigillo che porta l’Inter a Monaco di Baviera. Il Barcellona tenta il tutto per tutto, ma i nerazzurri resistono fino alla fine. Tredici gol in due partite, sette dell’Inter, sei del Barça. Due squadre votate all’attacco, senza calcoli, senza paura. Una semifinale che ha avuto il sapore della finale anticipata, giocata su ogni metro del campo, a viso aperto, tra fuoriclasse e nervi tesi. E se l’andata al Camp Nou era stata pirotecnica (3-3), il ritorno al Meazza è entrato nella leggenda. L’Inter ha avuto il vantaggio di giocare in casa il secondo round grazie a quel pareggio, ma ha dovuto guadagnarsi ogni centimetro di campo con i denti, fino all’ultimo secondo. Solo poche settimane fa, Simone Inzaghi era sulla graticola. Tre sconfitte consecutive, critiche, dubbi, voci di esonero. Oggi, lo stesso Inzaghi è a un passo dal diventare l’eroe di una Champions memorabile. Una lezione anche per chi osserva il calcio (e la vita) con giudizi troppo affrettati: serve tempo per costruire, serve equilibrio per valutare. E spesso non è solo una questione di risultati, ma di visione e coraggio. Tra i protagonisti di questa impresa nerazzurra ci sono anche tanti italiani: Acerbi, Frattesi, Barella. Non è più il tempo delle lamentele sui “troppi stranieri”. Il problema degli ultimi anni, per la Nazionale, è stato l’assenza di italiani pronti, davvero pronti, per palcoscenici importanti. Ora qualcosa sta cambiando. Finalmente tornano a farsi vedere calciatori italiani in grado di incidere nelle grandi notti europee. Ed è questa una notizia che fa ben sperare anche per il futuro della maglia azzurra, che ha tanto bisogno di nuove certezze. Nel 1970, dopo il 4-3 alla Germania, l’Italia si arrese al Brasile di Pelé e Rivelino. L’auspicio oggi è che l’Inter possa scrivere un finale diverso. Ma già ora questa squadra ha regalato ai suoi tifosi una notte da tramandare, una favola di orgoglio, sofferenza e riscatto. Perché il calcio è anche questo: un riflesso della vita, in cui nulla è mai davvero perduto.