Ronaldo il Fenomeno: il marziano che ha riscritto le leggi del calcio

Pubblicato il 17 maggio 2025 alle ore 14:27

di PIERANTONIO LUTRELLI - In ogni epoca del calcio, c'è un nome che brilla più degli altri. Per i nostri genitori o i nostri nonni fu Pelé, l’uomo che con grazia, potenza e istinto felino regalò al Brasile tre Coppe del Mondo (1958, 1962, 1970). Per quelli della mia età fu Diego Armando Maradona, il genio ribelle, il poeta del pallone, l’eroe di Napoli e dell’Argentina, capace di segnare il gol del secolo e, con la “Mano de Dios”, scrivere una delle pagine più iconiche della storia del calcio. Ma per chi ha vissuto gli anni ’90 e i primi 2000, per chi ha visto il calcio con gli occhi sgranati di un bambino o con l’anima passionale di un tifoso, il più grande di tutti è stato uno solo: Ronaldo Luís Nazário de Lima. Il Fenomeno. Il talento che non sembrava umano. Infatti Ronaldo non era un calciatore. Era un’esplosione di forza, grazia e tecnica che sembrava piovuta da un altro pianeta. A soli 17 anni incantava al Cruzeiro, poi il salto in Europa: il PSV Eindhoven, e subito dopo un Barcellona folgorato dal suo talento. In una sola stagione in blaugrana, fece 47 gol in 49 partite. Numeri irreali, ma non erano solo le statistiche a renderlo leggenda: era il modo in cui segnava, saltando portieri, disintegrando difese intere, con una naturalezza che faceva sembrare il calcio il gioco più semplice del mondo. Poi arrivò l’Inter. E fu amore. Un amore totale, passionale, a volte doloroso. A San Siro Ronaldo non era solo un attaccante: era l’uomo che metteva paura a ogni difensore del campionato più difficile del mondo. Nesta, Maldini, Cannavaro: tutti hanno confessato, anni dopo, che affrontare Ronaldo era come cercare di fermare un uragano con le mani. “Partiva dopo e arrivava prima”, dicono. Quel doppio passo, quella progressione, quel controllo di palla in corsa a velocità disumana, rendevano inutile ogni tentativo di fermarlo. Ma anche gli dei cadono. Il ginocchio crolla, la carriera si interrompe, il mondo resta col fiato sospeso. L’Inter lo aspetta. Moratti lo coccola come un figlio. Ma quando Ronaldo torna, ha bisogno di voltare pagina. Va al Real Madrid, ai Galácticos. E lì, accanto a Zidane, Beckham, Figo e Roberto Carlos, dimostra che anche mezzo Ronaldo è più di qualsiasi altro intero. A Madrid incanta, segna, conquista. E in nazionale? Lì diventa immortale. Dopo il dramma del 1998, nel 2002 è lui il protagonista assoluto: 8 gol e la Coppa del Mondo, con una doppietta in finale contro la Germania. Ronaldo è di nuovo in cima al mondo. Ronaldo non è stato solo numeri, non è stato solo trofei. È stato emozione pura. È stato l’attesa prima che toccasse palla. Il boato del pubblico mentre partiva in corsa. Gli avversari lo ammiravano in silenzio. È stato l’idolo di una generazione intera, l’unico che metteva d’accordo tutti: tifosi, tecnici, avversari.Ha lasciato il segno ovunque: al Cruzeiro, al PSV, al Barcellona, all’Inter, al Real Madrid, al Milan, e ovviamente con la camiseta verdeoro, con cui ha vinto due Coppe del Mondo (1994 e 2002) e ha segnato 62 gol in 98 presenze. Oggi, mentre si parla di Messi, di Cristiano Ronaldo, di Haaland, di Mbappé, il nome di Ronaldo il Fenomeno continua a evocare qualcosa di diverso. Non solo grandezza, ma magia. Un calciatore che ha giocato con il corpo di un atleta e l’anima di un artista. Che ha saputo essere velocità e potenza, ma anche intelligenza e sensibilità calcistica. Che ha saputo emozionare, e in fondo, è questo che rende eterno un campione. Ronaldo è stato il calcio nella sua forma più pura. Il Fenomeno. Per sempre.