
di PIERANTONIO LUTRELLI
Papa Francesco è morto il 21 aprile 2025, il lunedì dell’Angelo. Un giorno apparentemente ordinario nel calendario civile, ma carico di significato nel cuore dei cristiani: è il giorno in cui il mondo, dopo aver celebrato la Resurrezione, inizia a vivere il tempo nuovo. Non è un dettaglio da poco. I simboli, nella vita di Jorge Mario Bergoglio, non sono mai stati semplici cornici. Fin dal primo istante del suo pontificato — quando si affacciò dalla loggia di San Pietro chiedendo al popolo di pregare per lui, inchinandosi — Papa Francesco ha fatto della sobrietà, del gesto profondo, della parola limpida la sua grammatica spirituale. E anche nella morte, questo Papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, ha lasciato un segno che va oltre la cronaca. Se n’è andato il giorno dopo Pasqua, come a voler accompagnare il Risorto per l’ultima volta, in silenzio. Un passaggio discreto, ma fortissimo. La sua vita è stata un continuo Vangelo incarnato: dalla scelta del nome di Francesco, simbolo di povertà e pace, all’attenzione per gli ultimi, per il creato, per una Chiesa che non domina ma serve. In questo lunedì pasquale, mentre i cristiani del mondo intero ancora cantano “Cristo è risorto”, Francesco torna al Padre, quasi a dirci che la morte non è l’ultima parola. Come Gesù nel sepolcro, anche lui lascia dietro sé un vuoto pieno di promesse. Il suo testamento è la speranza. Una speranza che oggi non si spegne, ma si rinnova. Nel tempo in cui le parole si moltiplicano e il rumore del mondo sovrasta tutto, Francesco ci ha insegnato l’arte del silenzio che parla, del gesto che insegna, della fede che si piega per lavare i piedi. È stato un pastore che ha camminato davanti, ma spesso anche dietro, per lasciare che il popolo scoprisse la strada da sé. Ora, il giorno dopo Pasqua, il suo ultimo gesto è ancora una volta un messaggio: la vita ha senso solo se è donata. E la Resurrezione non è solo una promessa futura, ma una chiamata presente. A vivere da risorti, già ora, già qui.